mercoledì 26 aprile 2017

Ostaggi




Da due anni a questa parte sono regolarmente in viaggio per Kisangani, ogni due mesi circa, ed ogni volta è un’avventura, senza eccezione. E’ il lunedì di Pasqua verso le sei del mattino che mi metto sulla pista, in moto, per percorrere in cinque ore i 150 chilometri che ci separano da NiaNia, villaggio carrefour (incrocio) dove dovrei prendere il Bus sulla “Grande Route” dell’Ituri, fino a Kisangani. Purtroppo mi informano che fino al pomeriggio del giorno successivo nessun Bus è in programma, nonostante numerose compagnie si siano affacciate sul mercato del trasporto passeggeri: “La vie est un combat”, “Na Ngolo Coach”, “Classic”. “Dissa”... L’alternativa? Qualche vettura occasionalmente di passaggio, che acquistata in Uganda a buon prezzo giunge “via strada” fino a Kisangani e prosegue fino a  Kinshasa via battello, sul fiume Congo. L’autista lungo il percorso carica abusivamente dei passeggeri di fortuna e mette da parte qualche guadagno extra. Per me sarebbe una buona occasione. Percorro il centro di NiaNia, ma nessuna traccia di queste vetture. 

Mi indirizzo allora al Parking, dove sostano dei “minibus”, furgoncini della marca Toyota che attendono i “clienti” fino a completare il “carico” di una quindicina di passeggeri con i loro bagagli. Sono fortunato. Il minibus in attesa è già quasi carico e potrà iniziare il viaggio nel lasso di tempo di un’ora, l’intervallo giusto per  mettere in custodia la moto, cambiare i pantaloni infangati e prepararmi alla seconda parte del viaggio. Il prezzo è buono, una trentina di dollari per i 340 chilomentri di questo tratto, e mi è riservato un posto davanti tra l’autista, un giovane di una trentina d’anni non ancora raggiunti e il “gerant”, che ha il compito di “gestire” i passeggeri e pagare “pedaggi”, tasse e balzelli. 


Un’altra delle incredibili contraddizioni del nostro Congo: se vuoi andare da Bukavu, città congolese di frontiera, a Kigali capitale del Ruanda, trovi appena due militari ruandesi e nessun congolese per gettare uno sguardo veloce al passaporto, ma se devi passare da una Provincia all’altra all’interno della medesima RDCongo ti imbatterai in una serie interminabile di posti di blocco, controlli e dazi da pagare: 
DGM (Direzione generle della Migrazione), DGI (Direzione Generale delle Imposte) ed ancora DGRAD, DGRPI, DGRHU , la Polizia stradale, i Militari... una via crucis con un numero sproporzionato di stazioni che di fronte alla finalità esibita di garantire la sicurezza e raccogliere le imposte per lo stato, ha invece l’unico scopo di raccogliere delle piccole mance a favore degli ufficiali dello stato che vi lavorano e a favore dei loro superiori.  


Alla partenza effettuiamo il rifornimento di benzina con i soldi appena raccolti e lungo la strada, alle differenti soste, “imbarchiamo” qualche ulteriore passeggero da far salire stavolta sul portabagagli posto sul tetto del minibus.

I nuovi ma “ultimi” viaggiatori potranno ben accomodarsi sopra un materasso steso per l’occasione. Anche il nostro “gerant” ad un certo punto cede il suo posto ad un cliente per salire a sua volta “in cima”... questo gli permetterà di avere qualche soldino in più in cambio di una buona vista panoramica, aria fresca ed una ginnastica non invidiabile come il salire e scendere qualche decina di volte, senza scaletta, dal tetto del minibus. 

A circa metà tragitto un veicolo che incrociamo si/ci ferma e ci mette al corrente di un camion rovesciatosi al chilometro 170 da Kisangani. Poichè anche i grossi camion trasportano numerose persone al di sopra del carico di merci, questo tipo di incidenti può rivelarsi mortale. Ed infatti ci preavvisano che quando il minibus arriverà sul luogo probabilmente saremo sollecitati a prendere una delle due persone che sono morte sull’incidente. Il nostro giovane autista che a partire dall’inizio del viaggio non ha smesso di sorseggiare una bevanda leggermente alcolica (11 %) e comincia ad essere psicologiamente debole, è preso dal panico di dover caricare una salma, e quando arriviamo sul luogo, lui tira diritto ignorando i segnali di stop. 

 Da un certo punto di vista ci meravigliamo spiaciuti, da un altro punto di vista siamo contenti di non aver a che fare con un cadavere, tra l’altro è già tardi e se arriviamo dopo le ore 23.00 all’ultima barriera posta a 23 chilomentri prima di entrare in Kisangani, saremo costretti a passare la notte all’aperto, in quanto nessuno ci aprirà la strada dopo quell’ora. Ed effettivamente arriviamo giusto un quarto d’ora prima del blocco e riusciamo a passare senza problemi. Ma ecco che il nostro autista ha un altro asso nella manica da giocarci: ci rimangono solo 10 chilometri per guadagnare ciascuno le poprie abitazioni, toglierci il centimentro di polvere rossa che abbiamo accumulato sulla pelle, ma ecco che il “nostro” oramai ubriaco fradicio decide di arrestarsi. Ha visto un bar aperto e dichiara solennelmente che passeremo la notte lì. Parcheggia il minibus, si siede al tavolo e chiede qualche birra da bere. Incredibile, siamo ostaggi di un ubriaco, davanti un bar costruito con due vecchi container di ferro e all’intorno il buio e la foresta.

Il “gerant” tenta di farlo ragionare di convincerlo a riprendere la strada ma senza riuscirci... e forse bisogna dire “meglio così”, per non incorrere anche noi in un qualche incidente o rovesciamento di veicolo: finora tutto è andato bene. Qualcuno dei passeggeri che non aveva bagagli decide di percorrere a piedi gli ultimi chilometri. Qualcun altro ne approfitta per prendere anche lui una birra fresca, qualcun altro accenna dei passi di danza alla musica degli altoparlanti. I tre bimbi che viaggiavno con noi dormono su delle giacche stese per terra.

Non mi resta che chiamare per telefono qualcuno della comunità che a 24.00 ore abbondantemente passate venga gentilmente a prendermi. Tutto è bene quel che finisce bene, ma quanta incoscienza, leggerezza, dis-prezzo della vita! Una volta di più possiamo dire che siamo nelle mani di Dio. E quanta pazienza, pazienza, pazienza.